Arte e musica

“IL LATTE DEI SOGNI”: UNA BIENNALE TRA SURREALISMO, STORIA E TECNOLOGIA.

Domenica 27 novembre si è conclusa la 59 Esposizione Internazionale d’arte intitolata “Il Latte dei Sogni” curata da Cecilia Alemanni, già curatrice del Padiglione Italia nel 2019. La mostra era articolata, come di consuetudine, tra gli spazi del Padiglione Centrale ai Giardini e in quelli delle Corderie, delle Artiglierie, negli spazi esterni delle Gaggiandre e nel Giardino delle Vergini nel complesso dell’Arsenale.

Questa Biennale ha visto la partecipazione di 213 tra artiste e artisti, provenienti da 58 nazioni di cui 26 le artiste e artisti italiani.

Nella conferenza stampa di pre-apertura, Cecilia Alemanni affermò come l’esposizione non fosse il simbolo di una ritrovata normalità quanto il segno di uno sforzo collettivo ricordando che, per volere degli organizzatori, tale manifestazione fu rinviata di un anno, a causa della pandemia, e che mai successe una cosa simile se non durante la Prima e Seconda Guerra Mondiale.

Il presidente Roberto Cicutto, sempre in occasione della conferenza stampa, precisò come la curatrice avesse immaginato un percorso fatto di nuove soluzioni armoniche lontane dall’antropocentrismo. “Il Latte dei Sogni” è stata, di conseguenza, la rappresentazione tangibile del nostro tempo attraverso un nuovo modo di pensare e una nuova trasformazione. Un viaggio introspettivo che ha messo in relazione, in modo dialogico, le idee e le differenti esperienze degli artisti.

Come è iniziato questo viaggio? Qual è stata la sua fonte ispirazionale?

Tutto è partito da un libro … un libro di fiabe illustrate per bambini scritto dalla surrealista Leonora Carrington. In questo testo viene descritto un mondo magico nel quale la vita è costantemente re-inventata attraverso il “prisma dell’immaginazione” in cui è concesso cambiare e trasformarsi. Creature fantastiche sono le compagne di un viaggio interiore che porta ad esplorare la metamorfosi del corpo e dell’umanità. Disegni e parole accompagnano il lettore e la lettrice nella pura essenza onirica, irrazionale ed inquietante, presente nelle zone più recondite della psiche, e ricerca l’irrazionale, il nonsense e la parte più oscura della realtà.

Il prisma dell’immaginazione è stato ricreato dalla curatrice attraverso un percorso espositivo, una porta spazio-temporale tra realtà e non-realtà, tra tangibile e intangibile, tra passato e futuro. Ciò ha permesso di mettere in contatto l’osservatore con un’arte fisica rappresentata da corpi e dalle loro metamorfosi. Una riflessione sulla relazione del pensiero che scaturisce dagli individui, dalle tecnologie e dai legami che si intrecciano tra gli stessi corpi e la Terra, tra essenza e materia.

Lo spettatore si è trovato dinnanzi al doversi porre delle domande sulla definizione di “umano”, su quali fossero le differenze tra umano e non-umano, sulle proprie responsabilità nei confronti dei propri simili, e di altre forme di vita presenti sul nostro pianeta, e di come sarebbe stata la vita senza la presenza dell’uomo. In questa realtà espositiva è stata messa in discussione la figura umana universale, e prettamente occidentale, e al modello “illuminista rinascimentale” sono stati contrapposti esseri ibridi e creature permeabili. Si è voluto riflettere sul concetto di post-umano immaginando un mondo dove vi fosse una nuova comunione tra gli esseri, i pianeti e altre forme di vita attraverso un rapporto armonico e simbiotico.

Su queste premesse sono state realizzate cinque piccole mostre tematiche costituenti una serie di “costellazioni” nelle quali le opere d’arte, gli oggetti trovati, i manufatti, i documenti raccolti hanno permesso allo spettatore di approfondire il suo rapporto con l’opera d’arte. Un percorso trans-storico che lo ha condotto ad intraprendere un dialogo tra storia e contemporaneità. Un approfondimento per conoscere e comprendere le varie corrispondenze tra opere storiche e le esperienze di artiste e artisti contemporanei presenti negli spazi limitrofi alle cinque “costellazioni”.

Le capsule espositive sono state progettate dallo studio di design Formafantasma, di Andrea Trimarchi e Simone Farresin. In esse sono stati raggruppati oggetti storici e opere in gran parte del Novecento.

La prima capsula del tempo, presente ai Giardini, è stata denominata “La culla della strega”, titolo tratto da un’opera di Maya Deren. In questo spazio si sono potuti ammirare una serie di lavori incentrati sul dominio del meraviglioso e del fantastico dove storie legate ai “corpi disobbedienti” richiamavano alla memoria le Avanguardie del Novecento: il Surrealismo, il Futurismo, Bauhaus, Negritude e Harlem Renaissance. Tra le opere storiche si potevano riconoscere i lavori di Remedios Varo, amica della Carrington, e la fotografa ungherese Kati Horna. Non sono mancate le opere di Ithell Colquhoun e la sua ricerca della spiritualità femminile divina attraverso l’inconscio e le tecniche artistiche del Surrealismo. Non va dimenticata la presenza di Dorothea Tanning che, attraverso le sue opere, ha rivelato l’automatismo psichico dei sogni legati ai pensieri repressi nascosti nell’inconscio. Dorothea ha esplorato mondi paralleli, paure, desideri e sessualità. Le sue figure femminili rifiutavano un’identità fissa e rappresentavano il divenire. All’esterno di questa capsula del tempo sono state collocate le sculture in cemento di Sara Enrico e le minuscole tele iperrealistiche di Chiara Enzo.

La seconda capsula era dedicata al rapporto tra corpo e tecnologia da cui il titolo “Tecnologie dell’Incanto”. Erano presenti i lavori di un gruppo di artiste degli anni Sessanta come Grazia Varisco, Nanda Vigo, Dadamaino, Marina Apollonio e Lucia Di Luciano.

La terza capsula “Corpo Orbita”, invece, era una chiara riposta alla mostra “Materializzazione del linguaggio” curata, nel 1978, da Mirella Bentivoglio dove opere di artiste e scrittrici del XIX e XX secolo raccontavano la loro emancipazione attraverso una determinata produzione testuale. In questo contesto erano visibili le opere di Tomaso Binga, Linda Gazzera, Georgiana Houghton, Mina Loy, Milly Canavero, Ilse Garnier.

Ben diversi erano l’atmosfera e il contesto artistico presenti all’Arsenale. Il tutto era incentrato sul rapporto tra gli individui e la terra. Le opere di Belkis Ayón, Portia Zvavahera, Gabriel Chaile, Zheng Bo, Eglė Budvytytė e gli arazzi dell’artista Britta Marakatt-Labba sono state il coronamento di tali argomentazioni. La gigantesca scultura Brick House di Simone Leigh ha determinato nello spettatore un forte impatto emotivo. Essa era un grido di rinnovamento e di positività della figura femminile.

Nella capsula numero quattro, intitolata “Una foglia una zucca, un guscio, una rete, una borsa, una tracolla una bisaccia una bottiglia una pentola una scatola e un contenitore”, erano esposte le opere di Ruth Asawa, Aletta Jacobs, Maria Sibylla Merian, Tecla Tofano, Bridge Tichenor.

L’ultima capsula, la “Seduzione dei Cyborg”, è stata dedicata alle interazioni tra umano e artificiale. Storia e fantascienza si sono unite e il corpo umano si è relazionato con la tecnologia. Particolari erano opere di Karla Grosch, Maria Brandt e Alexander Exter ma tra tutte spiccava l’installazione di Rebecca Horn, due enormi bracci meccanici che si avvicinavano e si allontanavano grazie ad una scarica elettrica. Questa capsula ha permesso allo spettatore di avvicinarsi ed analizzare il pensiero di Donna Haraway che considerava le artiste presenti come cyborg, come dei corpi ibridi il cui lavoro abbracciava l’estensione dell’IO e superava l’idea stessa di tecnologia. La stessa figura umana scompariva tra i fiori di Tetsumi Kudo e le macchine di Mire Lee e si nascondeva dietro le maschere artificiali di Diego Marcon.

Una novità fortemente voluta da Cecilia Alemanni è stata la creazione della Biennale Collage Arte affiancata a quelle di Cinema, Teatro, Danza e Musica. Artiste e artisti, scelti fra i molti candidati da tutto il mondo, hanno potuto vedere le loro opere esposte, fuori concorso, accanto a quelle dei colleghi già affermati. Erano presenti quattro giovani artisti: Simnikiwe Buhlungu, Ambra Castagnetti, Andro Eradze e Kudzanai-Violet Hwami.

La Biennale Arte 2022 sicuramente è stata una novità rispetto alle edizioni precedenti e non sono mancate le critiche. Il riflettere sulla condizione umana e sul suo rapporto con il mondo e la tecnologia è stato un segno evidente di come l’arte abbia preso in considerazione i cambiamenti in atto e ne abbia analizzato i pregressi storici. Questa esposizione ha porta alla luce pensieri nascosti e ha cercato di porre ogni essere umano dinnanzi a se stesso, alle proprie paure ed inquietudini per arrivare a conoscere la propria interiorità.

Non ci resta che attendere il 2024 per conoscere quali saranno i nuovi orientamenti artistici.

Mariangela Bognolo

Direttore artistico Retetop95, curatore, storico e critico d'arte.

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